04.10.2001
Giornale del Popolo
Opinioni e Commenti
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La Svizzera ha bisogno dell'Europa, l'Unione europea di democrazia - La sovranità non si preserva da soli
di Andreas Gross, Consigliere nazionale
La Svizzera - utopia riuscita del diciannovesimo secolo - potrà rimanere sé stessa solo se si unirà all'Europa - utopia riuscita del ventesimo secolo -. Quanto all'Europa, ha bisogno di un supplemento democratico che la Svizzera le può dare.
L'ex Consigliere federale Arnold Koller e il costituzionalista zurighese Daniel Thürer hanno sostenuto che il rifiuto dello Spazio economico europeo andava considerato uno dei rari errori nella storia della democrazia diretta svizzera. Una dichiarazione che contesto sulla base di alcune considerazioni finora totalmente ignorate e, a parer mio, importanti per il futuro della politica europea della Svizzera.
Se si considera la storia elvetica e quella dell'integrazione europea, l'errore fu fatto semmai dal Consiglio federale e dall'Assemblea federale, credendo che lo SEE fosse un'opzione realistica per il nostro Paese.
La cesura del 1989
Un popolo tanto geloso della propria libertà e della propria autodeterminazione ben difficilmente poteva accondiscendere ad un patto unilateralmente economico con pesanti conseguenze giuridiche e senza la possibilità di partecipare allo sviluppo del diritto europeo al pari degli stati membri. Mi pare inoltre evidente che, in un sistema di democrazia diretta, ogni progresso è espressione di un processo di apprendimento collettivo.
A maggior ragione in un campo come quello dell'integrazione della Svizzera in Europa e nel mondo, visto che la maggioranza degli Svizzeri credette di essere riuscita, dal 1870 al 1945, a superare ogni male solo con le proprie forze. Ci vuole tempo e precisi meccanismi di apprendimento per capire che tali esperienze sono ormai poco utili per affrontare le sfide future. Il voto sullo SEE è intervenuto nel 1992, sei anni dopo un No all'ONU e un anno dopo le fiere celebrazioni del Settecentesimo. In quel contesto temporale, la posta in gioco non poteva essere capita. Da ultimo non può sfuggire il fatto che lo SEE è stato pensato nel 1988 e come tale era già superato dagli eventi che porteranno alla caduta del muro di Berlino e all'indipendenza di 25 nuovi Stati dell'Europa centrale e dell'Est.
Lo SEE, pensato da Jacques Delors prima di quei fatti rivoluzionari, non poteva che trasformarsi in un'opzione transitoria sulla via dell'UE. E proprio in questo senso fu visto (e voluto) da molti Romandi (tra cui i Consiglieri federali Delamuraz e Felber). La grande maggioranza degli Svizzeri tedeschi la vedeva in modo molto diverso. Gli ambienti della borghesia avevano timori per i loro affari e credevano che tramite questa via avrebbero potuto assicurarsi l'accesso al mercato europeo. Siccome non si trattava, per loro, di un vero e proprio passo verso l'integrazione europea, non riuscirono a convincere anche i loro concittadini.
Ciò detto, la Svizzera può trarre parecchi insegnamenti dalle esperienza fatte in questi anni nei suoi rapporti con l'UE (dai negoziati per lo SEE agli Accordi bilaterali).
1. Lo Stato nazionale, come base delle nostre decisioni fondamentali, è diventato troppo piccolo. Chi desidera co-decidere in modo sovrano deve ormai coniugare la propria sovranità con quella di altri Stati. Vale a dire trasferirla su scala continentale, associarsi su basi federali e riorganizzarsi. Questa è la sfida maggiore per la Svizzera.
2. Con questa medesima sfida è attualmente confrontata anche l'UE (elaborazione di una Convenzione). Coniugare, all'interno di un pool, la propria sovranità non significa abdicare alla propria autodeterminazione. Affinché essa sia garantita c'è bisogno di un'autentica Costituzione europea come fondamento di un nuovo ordine statale europeo. Autentica significa che dovrebbe essere approvata tramite referendum con doppia maggioranza (Stati membri e cittadini). Ciò non può ovviamente avvenire entro il 2004 poiché la Convenzione europea non ha un mandato costituzionale vincolante: può soltanto sottoporre agli Stati e ai Governi le sue proposte.
3. Affinché i due processi di apprendimento - quello svizzero e quello europeo - possano muoversi in modo convergente, è necessario lanciare nel nostro paese un grande dibattito pubblico in grado di coinvolgere tutti i poteri locali. La democrazia svizzera si è costruita dal basso e - anche di fronte a nuovi fenomeni epocali - si lascia convincere solo partendo dal basso e procedendo verso l'alto. Se quindi il Consiglio federale e l'Assemblea federale non si dichiarano pronti a fare il passo, bisogna che i cittadini svizzeri (ed europei) vengano loro in aiuto con un'iniziativa popolare.
Un tale dibattito di ampio respiro dimostrerebbe che Romandia e Svizzera tedesca negli ultimi dieci anni si sono avvicinati in materia di politica europea: i Romandi sono diventati meno euro-euforici, gli Svizzeri tedeschi si stanno accorgendo che hanno bisogno dell'Europa. Cresce la consapevolezza che si tratta di procedere nella direzione dell'UE ma che quest'ultima va riformata nel senso di una sua democratizzazione e di un accresciuto federalismo.
Interessi comuni
Paradossalmente, non esiste Stato in Europa più europeo della Svizzera. Analogamente, non ne esiste un altro che abbia preso tanto sul serio la democrazia, intesa come diritto partecipativo di ogni singolo cittadino. Questa fu la nostra grande (e riuscita) utopia del diciannovesimo secolo. Come il processo di integrazione europea - l'ideologia riuscita del ventesimo secolo - necessita della democrazia per stabilizzarsi, così la democrazia oggi ha bisogno dell'Europa per affrontare l'economia globale ed imporsi su scala transnazionale. Per questo motivo sono convinto che la Svizzera potrà rimanere sé stessa solo insieme con l'Europa. E che l'Europa potrà rafforzarsi soltanto grazie ad un supplemento democratico. Detto con altre parole: ambedue le utopie del diciannovesimo e del ventesimo secolo hanno bisogno l'una dell'altra se non vogliono entrare nel ventunesimo secolo totalmente prive di forze.
Andreas Gross
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